Manuela Cagnoni

Fin da quando riesco a ricordare, ho sempre inventato storie e scritto romanzi e racconti. Le mie storie non sono mai autobiografiche, nascono anzi dalla voglia di immedesimarmi in persone diverse da me, di esplorare e cercare di capire caratteri e vite che sono molto distanti dalla mia realtà. Mi capita di inventare storie ovunque, mentre sono sulla metropolitana o mentre cammino per la strada, a volte basta anche un gesto piccolissimo per farmi venire in mente una storia, che da lì parte senza che io sappia dove di preciso andrà a finire, fino a quando, ad un certo punto, mi accorgo che il romanzo o il racconto è terminato da solo. A volte passa parecchio tempo tra il momento in cui la storia nasce nella mia testa e quello in cui riesco a sedermi al computer e scriverla, così mi porto in giro il racconto ovunque vada, scrivendolo e riscrivendolo di continuo nella mia mente, aggiungendo e togliendo particolari di volta in volta. Rielaboro a lungo il racconto dentro di me, scopro lentamente i personaggi e i loro caratteri, i loro difetti, i loro ricordi, poi, quando finalmente mi siedo davanti al computer e scrivo, a volte la storia, ad un certo punto, prende una direzione diversa da quella che avevo così a lungo immaginato, è come se i personaggi d'improvviso decidessero che vogliono una storia diversa, è come se si facessero largo aspetti del loro carattere che non avevo conosciuto prima. Questo è il motivo per cui non sempre quello che scrivo è esattamente come lo vorrei, tranne forse nel mio racconto preferito, Appuntamento al bar e nel racconto, scritto più di vent'anni fa, Quel che resta di Pietro.